
Il Tribunale di Palermo ha pronunciato sentenza di condanna a carico di un padre ai sensi dell’art. 570, commi 1 e 2, c.p., ‘Violazione degli obblighi di assistenza familiare’ secondo cui:
‘Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 euro a 1.032 euro.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato.’
Secondo il Tribunale, il padre non può sottrarsi alla corresponsione del contributo al mantenimento dei figli stabilito in sede di separazione personale e per questo deve essere condannato.
Non è sufficiente, infatti, che, dopo la separazione, avesse ‘continuato a contribuire in altro modo al sostentamento dei propri figli’, così come emerso dalle testimonianze rese dai figli stessi nel corso del dibattimento.
L’uomo, infatti, si era preoccupato che i figli avessero di che cibarsi e che avessero vestiti e libri scolastici. Aveva anche sostenuto le spese per qualche visita medica e dava loro la ‘paghetta’ settimanale.
Tale circostanza era emersa in modo chiaro anche in un secondo procedimento penale subito dall’uomo ma, secondo la Cassazione, già nel primo processo avanti al Tribunale di Palermo la stessa moglie aveva dato atto che il marito contributiva solo alle spese voluttuarie, all’acquisto di alcuni vestiti e al pagamento dei viaggi dei figli.
I fatti emersi nei due procedimenti erano, quindi, conformi.
Perciò, la Suprema Corte non può che concordare con il giudizio espresso dal primo Tribunale, dichiarando inammissibile il ricorso in Cassazione e confermando che la mancata corresponsione del contributo al mantenimento dei figli è ragione di condanna ai sensi dell’art. 570 c.p. (cass. pen. n. 25593 del 9.9.2020).