
Secondo la Corte di Cassazione non si può stabilire a priori a quale età il figlio maggiorenne può dirsi autosufficiente.
Con la sentenza n. 17183 del 14.8.2020, la Corte ripercorre gli arresti giurisprudenziali in tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne e, esaminando il disposto dell’art. 337 septies, comma I, c.c., afferma chiaramente che l’età che la legge individua come limite per il percepimento del contributo al mantenimento è 18 anni.
Con il raggiungimento della maggior età, si acquista la capacità di agire e la libertà di autodeterminarsi.
Non occorre, quindi, un’ulteriore previsione legislativa che stabilisca in modo preciso l’età in cui l’obbligo di mantenimento del figlio viene meno perché, in realtà, già esiste ed è rinvenibile nel raggiungimento dei 18 anni.
Tuttavia, se è vero che il mantenimento del figlio dovrebbe cessare con il raggiungimento dei 18 anni, è altrettanto vero che questo non è certo un automatismo.
Non solo: non può neppure determinarsi a priori a quale età oppure oltre quale età il mantenimento deve sicuramente venire meno.
In tal senso, non sembra potersi condividere la tesi della Corte d’appello di Firenze secondo la quale, raggiunti i 30 anni, ‘una persona normale deve presumersi autosufficiente da ogni punto di vista, anche economico, salvi comprovati deficit, come avviene in tutte le parti del mondo, ma meno in Italia; né la mancanza congiunturale del lavoro, in dati momenti storici, equivale ad incapacità di mantenersi, potendo essa riguardare anche persone più avanti con l’età (..), senza che ciò faccia sopravvivere l’obbligo parentale di mantenimento, il quale altrimenti si trasformerebbe in una copertura assicurativa.’
Il richiedente dovrà provare che permane il diritto del figlio alla contribuzione a proprio favore per l’esistenza, ad esempio, di un percorso di studi o di formazione ancora in divenire, in costanza di un tempo ragionevolmente necessario per trovare un’attività lavorativa o una sistemazione in grado di assicurare l’indipendenza economica.
L’obbligo di mantenimento del maggiorenne non è stabilito in maniera diretta ed automatica dal legislatore, ma è il giudice che, verificate le circostanze concrete, assumerà una decisione caso per caso.
A tale riguardo, la Corte di Cassazione ha affermato, nel tempo, principi ancora oggi validi e condivisibili:
- la valutazione delle circostanze che giustificano il permanere dell’obbligo al mantenimento è ancorata alle occupazioni e al percorso scolastico, universitario e postuniversitario e alla situazione attuale del mercato del lavoro, conspecifico riguardo al settore nel quale il figlio ha indirizzato la propria formazione e specializzazione (Cass. civ. n. 1830/2011);
- l’obbligo della contribuzione al mantenimento va valutata con rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei beneficiari. Non può, infatti, protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e misura (Cass. civ. n. 12952 del 2016);
- l’assistenza economica protratta ‘ad infinitum’ potrebbe diventare una forma di ‘parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani’ (Cass. civ. n. 4108 /1993);
- il percorso di educazione e formazione scelto dal figlio deve essere rispettoso delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, ma deve comunque essere compatibile con le condizioni economiche dei genitori (Cass. civ. n. 18076/2014)
- la formazione di un autonomo nucleo famigliare da parte del figlio esclude l’obbligo di mantenimento a suo favore.