
Il caso affrontato dal Tribunale di Perugia è emblematico: come spesso ricorre nei racconti delle vittime di violenza, anche in questo caso la moglie aveva già subito in passato comportamenti pregiudizievoli da parte del marito. Nonostante ciò e nonostante la moglie si fosse allontanata da casa già in passato, era poi ritornata ad abitare col marito a fronte delle promesse di cambiamento.
Sembra essersi verificato il c.d. ‘ciclo della violenza’: una fase di crescita della tensione, una fase di maltrattamento, un’ultima fase c.d. di luna di miele, ove la donna, rincuorata dalle promesse dell’altro, crede nel cambiamento e nel non ripetersi della situazione già vissuta. E, infatti, la signora aveva fatto rientro a casa in passato.
L’esame del caso condotto dal Tribunale, che ha confermato la misura concessa inizialmente inaudita altera parte, ha messo in evidenza come non tutti i fatti accaduti avessero trovato una precisa prova o conferma. Tuttavia, anche se solo alcuni degli episodi erano stati acclarati, dal contesto generale emergeva un quadro di violenza, soprattutto psicologica. L’invio della foto del veleno per topi è stato un chiaro segnale di grave violenza, che ha creato nel coniuge il timore per l’integrità fisica e la sicurezza propria e delle figlie.
Anche l’episodio della rottura della porta, che all’inizio era parso meno chiaro e significativo, aveva assunto successivamente contorni più nitidi ed era emerso, per ammissione dello stesso resistente, che lo stesso aveva smontato tutte le porte di casa e che ciò era stato fatto ‘perché non volevo che alle figlie [la moglie] desse il messaggio di un padre violento’, esercitando, però in tal modo, una forte pressione psicologica.
Il caso è stato esemplificativo di come si svolgono spesso le violenze domestiche: la condotta è atipica, può sostanziarsi in gesti variegati, ma è sempre caratterizzata dal grave pregiudizio che provoca e può provocare, frequentemente con il coinvolgimento dei minori, spettatori privi di difese, fisiche ma soprattutto psicologiche. Spesso si ha una commistione di pregiudizio all’integrità fisica, psicologica, morale e alla libertà.
Ciò porta a richiedere e adottare le misure previste dall’art. 342 ter c.c. e cioè l’ordine di cessazione della condotta e l’allontanamento dalla casa famigliare, quali prime misure di carattere necessario, a cui se ne possono aggiungere di ulteriori.
Il Tribunale, nel caso di specie, ha argomentato la misura di protezione disposta e confermata affermando che: ‘i fatti che qui possono ritenersi accertati costituiscono certamente comportamenti aggressivi e minacciosi, reiterati nel tempo, idonei a creare un senso di paura ed angoscia nella sig.ra (…) che, lungi dal configurare unicamente meri gesti inopportuni, costituiscono condotte atte a ledere l’integrità fisica, morale e personale della ricorrente e figlie e minano la dignità e la personalità di ogni componente del nucleo familiare, ivi comprese le figlie minori, anch’ella protagoniste di questi episodi.’
Il caso riportato è emblematico anche per il generale comportamento tenuto dalla donna coinvolta.
La situazione di violenza psicologica e il rischio per l’integrità fisica è chiaro dall’esterno. La tutela delle figlie minori lascia insorgere un sentimento comune di difesa che le vorrebbe lontane dal padre. Non si potrebbe certo pensare che una madre lasci le figlie con il padre nell’esercizio del diritto di visita.
E invece non è stato così. La donna, formulando le proprie richieste sull’affidamento e il diritto di visita delle figlie, aspetti entrambi da decidersi in separazione, ha chiesto che il padre veda le figlie per due pomeriggi a settimana, favorendo la frequentazione con le figlie.
Questo comportamento, così come l’allontanamento e il successivo rientro a casa, è del tutto compatibile con quello della vittima di violenza: sebbene le violenze siano state chiare e reiterate, sebbene il marito le abbia inviato una foto in sé violenta (veleno per topi), mentre stava con le figlie, cosa che le aveva fatto temere profondamente per l’incolumità delle minori, ancora in corso di procedimento di separazione la moglie avanza richieste, apparentemente, non coerenti con la situazione. E’ stato studiato ed è comprovato che le donne vittime di violenza spesso tengono comportamenti difficilmente compatibili con la situazione di violenza, spesso ritrattano quanto affermato o tentano di difendere il proprio aggressore oltre il comune senso di ragionevolezza.
Il Tribunale, in questo caso, ha saputo cogliere che le richieste della madre in merito al diritto di visita non modificavano in alcun modo il chiaro quadro di violenza.
Sebbene il caso sia stato correttamente valutato e gestito dal Tribunale, non è condivisibile l’utilizzo finale del termine ‘conflitto’. Il giudicante sembra confondere il concetto di conflitto, che viene richiamato più volte, con quello di ‘violenza’. Se i due soggetti sono in posizione simmetrica si può parlare di conflitto altrimenti è bene parlare di violenza, come è nel caso di un soggetto maltrattante e di uno maltrattato: nel caso trattato, è chiaro che si sia trattato di violenza, e non di due coniugi che si separano in maniera ‘conflittuale’. Si legge nel provvedimento: ‘l’immagine del veleno per topi mentre il resistente era in compagnia della figlie (con tutto ciò che questo inevitabilmente evoca nella madre), l’allusione ai coltelli sono tutti gesti che hanno determinato nel nucleo familiare un clima di esasperata tensione e dimostrano la reiterazione di offese fisiche e morali che, quand’anche riconducibile alla non accettazione della fine del rapporto coniugale, sono ormai sintomatiche della conflittualità con il coniuge – di cui è tangibile conseguenza l’abbandono della casa da parte della ricorrente – e che, di conseguenza, si rende necessario interrompere.’; e ancora: ‘Né rileva, a riguardo, che tale clima di conflittualità sia, in ipotesi, conseguenza della decisione della ricorrente di interrompere il rapporto coniugale.’
Sempre nell’ambito di applicazione delle disposizioni relative agli ordini di protezione, il Tribunale ha adottato anche disposizioni di natura economica. E’ emerso, infatti, che la moglie versava in precarie condizioni economiche e che non era in grado di far fronte al proprio mantenimento né a quello delle figlie.
Anche questo aspetto è molto rilevante poiché la violenza, spesso, è anche una violenza economica e la donna sa di non potersi allontanare facilmente dal proprio aggressore perché non ha le possibilità economiche concrete: si tratta di una forma di condizionamento e di violenza. Anche la dipendenza economica viene utilizzata per esercitare un controllo sul soggetto maltrattato.